Come nella maggior parte dell’Europa, nel Veneto i fiumi, i laghi, le falde acquifere sono inquinati.





I depuratori non trattengono numerose sostanze chimiche che dagli scarichi industriali, zootecnici o umani finiscono nell’acqua.
I nuovi inquinanti vanno dai farmaci alle droghe, dai disinfettanti ai prodotti chimici per la cura della persona, da sostanze perfluorurate e plastificanti fino a caffeina e nicotina.
Tutte queste sostanze vengono utilizzate quotidianamente in quantità elevate e possono essere immesse nell’ambiente tramite gli scarichi urbani.
I Depuratori depurano Parzialmente gli inquinanti




I depuratori contribuiscono a ripulirli prima del loro scarico nell’ambiente ma solo parzialmente e molti inquinanti, in particolare i farmaci, le droghe e i prodotti chimici utilizzati per la cura della persona permangono nelle acque trattate e sono riversati in canali e fiumi con ripercussioni sugli ecosistemi.
A queste si aggiungono anche altre fonti di inquinamento, tra cui gli scarichi diretti delle attività zootecniche ed industriali.
Il Veneto: Maglia nera per quanto riguarda L’inquinamento idrico da parte dei Pfas.




Pfas
Recenti studi hanno dimostrato una contaminazione diffusa da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nell’acqua di alcuni territori del Veneto, della Toscana e della Lombardia
Tali sostanze organiche, note anche come perfluorati, sono impiegate nelle aziende chimiche che producono derivati del fluoro e che nello specifico rappresentano la fonte della contaminazione ambientale
Cosa sono i perfluorati
I perfluorati sono sostanze caratterizzate dalla presenza di una catena alchilica idrofobica completamente fluorurata nella molecola, generalmente costituita da 4 a 16 atomi di carbonio, e da un gruppo idrofilico.
La particolare struttura di queste molecole e il forte legame tra fluoro e carbonio le rende particolarmente resistenti al degrado, pertanto i composti PFAS presentano un’elevata persistenza nell’ambiente e la capacità di bioaccumulo, con effetti tossici sugli essere viventi, compreso L’uomo.
I PFAS fanno parte della famiglia di sostanze definite come “interferenti endocrini” in quanto in grado di alterare gli equilibri ormonali; sono inoltre considerati contaminanti chimici emergenti, segnalati come “prioritari” da organismi nazionali ed internazionali.
L’elevata idrosolubilità motiva la diffusa presenza di queste sostanze nell’acqua, che rappresenta quindi un importante veicolo di contaminazione.
I PFAS
Con PFAS (perfluorati) si intende una vasta famiglia di sostanze perfluorate, tuttavia di particolare interesse sono i cosiddetti PFOS (acido perfluorooctansulfonico) e PFOA (acido perfluorooctanoico), a causa della loro vasta applicazione in vari settori industriali, basta pensare al politetrafluoroetilene (PTFE), posto in commercio come “Teflon” e al “Goretex” per l’abbigliamento sportivo.
Altri impieghi industriali riguardano la produzione di detergenti, cere per lucidare i pavimenti, pitture, vernici, pesticidi e schiume antincendio.
I perfluorati e l’acqua potabile
La legislazione riguardante la qualità delle acque destinate al consumo umano (D.Lgs 31/2001) non prevede il controllo di queste sostanze, per le quali quindi non sono stati fissati valori limite di concentrazione.
Tuttavia, la protezione della qualità delle acque prevede anche il controllo di elementi chimici non espressamente considerati dalla normativa vigente, che possono rappresentare potenziali fattori di rischio.
È il caso dei perfluorati, le cui concentrazioni massime tollerabili per l’acqua potabile di PFOA e di PFOS sono state proposte a livello nazionale da alcuni paesi: Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Paesi Bassi.
Nel nostro paese, sulla base delle indicazioni dell’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) circa i valori massimi tollerabili per esposizione orale e dei consumi stimati di acqua potabile, sono stati proposti i seguenti valori limite per la concentrazione in acqua: 0,3 nanogrammi/L per il PFOS e 3 nanogrammi/L per il PFOA.
Acqua avvelenata dalle industrie: e ora in Veneto è pericoloso bere dal rubinetto




La seconda falda acquifera più grande d’Europa porta i segni degli scarti dell’industria conciaria veneta e l’assenza di una normativa sui limiti agli scarichi.
Per trent’anni, in natura sono stati versati gli scarti delle sostanze utilizzate per impermeabilizzare abiti e pelli, produrre pentole antiaderenti o carta da forno.
A questo servono i Pfas, che hanno contaminato nel tempo 180 mila chilometri quadrati fra le tre province venete coinvolgendo 50 comuni e 350 mila persone.
136 milioni di euro
È la stima del disastro ecologico fatta dall’Istituto superiore per la protezione ambientale (Ispra) per l’inquinamento da sostanza perfluoroalchiliche (Pfas) nell’area tra le province di Vicenza, Verona e Padova.
Gli ultimi studi in ordine di tempo hanno mostrato come gli Pfas siano causa di tumori e infertilità.
LA SCOPERTA DELL’INQUINAMENTO




Nel 2013, in Veneto l’Istituto (Irsa-Cnr) effettuò il monitoraggio concentrandosi soprattutto nel distretto industriale di Valdagno e Valle del Chiampo.
Qui si trova il più importante polo tessile e conciario italiano e lo stabilimento della Miteni, società che produce fluoricomposti a Trissino in provincia di Vicenza.
Le analisi fecero emergere valori anomali delle sostanze nelle acque potabili campionate da punti di erogazioni sia pubblici che privati.
Subito viene individuata quale fonte principale della contaminazione prima dalla ricerca Irsa, poi dell’Arpav e dai carabinieri del nucleo operativo ecologico, la stessa Miteni, attiva dagli anni ’70, quando si chiamava Rimar e la proprietà era della famiglia Marzotto.
Un inquinamento di vecchia data ma scoperto solo nel luglio 2013.
Il Cnr lascia pochi dubbi e avverte del «possibile rischio sanitario per le popolazioni che bevono le acque prelevate dalla falda».
Tuttavia, nonostante lo studio Irsa e la trasmissione dei dati dall’agenzia regionale per la protezione ambientale del Veneto (Arpav) alla Regione e alla procura la situazione rimane sottotraccia e senza apparenti sviluppi.
Nemmeno la costituzione del Coordinamento Acqua Libera dai Pfas (Legambiente insieme ad altre dodici associazioni), una campagna di sensibilizzazione e le denunce presentate contro ignoti alle procure di Vicenza e Verona sembrano scuotere le istituzioni.
Fino al 2016, quando il governatore Luca Zaia si fa avanti e chiede risorse al governo per un piano di interventi e monitoraggio sanitario, oltre che per l’installazione di filtri in grado di trattenere i contaminanti.
Indagine Epidemiologica
Nell’Ohio (Stati Uniti) una indagine epidemiologica indipendente concluse come alcuni composti Pfas, in particolare quelli a «catena lunga», avessero proprietà cancerogene e di “interferenti endocrini” provocando così ipercolesterolemia, coliti ulcerose, malattie tiroidee, tumori del testicolo e del rene.
Da questa parte dell’oceano però i Pfas non sono previsti dalla legge come inquinanti e la pericolosità è messa in discussione.
Indagini sulla salute




Negli ultimi tre anni molte indagini sono state eseguite sulla popolazione dell’area contaminata.
I risultati sono preoccupanti
Fra il 2015 e il 2016 è stata condotta una campagna di biomonitoraggio umano su 507 persone della zona contaminate e di altrettante persone residenti fuori dall’“area rossa”.
La concentrazione media di queste sostanze nel sangue degli esposti è risultata di 13 nanogrammi/grammo contro 1,6 nanogrammi/grammo nelle persone non esposte.
Un’altra indagine ha esaminato i dati di salute riproduttiva della popolazione della zona rossa negli ultimi dieci anni, confermando l’aumento dei casi di diabete e sindrome di pressione alta (preeclampsia) durante la gravidanza e di nati con basso peso.
Un altro studio ha poi osservato aumenti di mortalità per ischemie, malattie cerebrovascolari (nei maschi +19%), diabete (+25% nelle donne) e Alzheimer (+14% nelle donne).
Da almeno due anni le ricerche sui Pfas trovano sempre più spazio su riviste scientifiche di primaria importanza che stanno delineando un quadro preoccupante per le popolazioni colpite.
Ultimo in ordine di tempo uno studio durato due anni del gruppo di ricerca dell’Università di Padova coordinato dal professor Carlo Foresta che ha analizzato i livelli ormonali delle ventenni residenti nell’area rossa della contaminazione:i risultati individuano il composto come responsabile dell’alterazione della fertilità della donna, provocando la poliabortività.
Filtri e Purificatori per eliminare i perfluorati dalle acque
I processi di depurazione convenzionali adottati in ambito acquedotto (chiariflocculazione, filtrazione, disinfezione con prodotti a base di cloro) risultano meno efficaci dei processi di ossidazione avanzata realizzabili con l’impiego di sostanze quali l’ozono, l’acqua ossigenata e la tecnologia UV.
Ultrafiltrazione e filtri a carboni attivi
In ambito domestico l’Ultra-filtrazione e la microfiltrazione si sono dimostrate tecnologie efficaci nella rimozione dei pfas dall’acqua, così come anche i filtri a carboni attivi.
E sono proprio i filtri a carboni attivi granulari ad essere stati adottati dai vari gestori d’acquedotto delle zone interessate per ridurre, con notevole successo, le concentrazioni di PFAS nelle reti idriche.
L’Istituto Superiore di Sanità ritiene che l’applicazione di adeguate tecnologie (carboni attivi o filtrazione con membrane) nella filiera di produzione e distribuzione delle acque destinate al consumo umano possa garantire, nelle acque trattate, i seguenti livelli di performance: PFOS ≤ 0,03 nanogrammi/L e PFOA ≤ 0,5 nanogrammi/L.
Valori significativamente inferiori ai limiti adottati dal nostro paese, che rappresentano, attualmente, l’obiettivo ritenuto tossicologicamente accettabile a cui tendere
FILTRI A CARBONI ATTIVI
Questo tipo di filtri sono gli unici in grado di decontaminare l’acqua dai PFAS, ne esistono di vario tipo e di varia misura a seconda delle quantità d’acqua da Purificare: l’unico comune denominatore è la necessità di curarne la manutenzione e la sostituzione.
I filtri a carboni attivi, infatti, si esauriscono e vanno sostituiti periodicamente per mantenerli in efficienza.
Fino a qualche tempo fa i Purificatori d’acqua per casa venivano visti come dei prodotti utili ma di cui, tutto sommato, si poteva anche fare a meno.
Con la consapevolezza che abbiamo oggi invece sappiamo che sono uno strumento essenziale per tutelare la salute di tutta la famiglia.
Attraverso una tecnologia super collaudata che si chiama Ultrafiltrazione, si può ottenere in casa propria un’acqua completamente pura, priva di ogni sostanza inquinante che viene bloccata alla fonte.
Bere acqua buona è fondamentale per la nostra salute e deve essere un diritto di tutti, in particolare per le cosiddette “fasce deboli”: bambini, anziani, donne in gravidanza.
Un purificatore ad ultrafiltrazione garantisce un acqua assolutamente pulita e esente da contaminazione: la miglior scelta possibile per il consumo alimentare.
Possiamo quindi affermare in maniera totalmente serena che un Purificatore D’acqua domestico riesce ad aggirare il problema di inquinamento delle falde acquifere a Vicenza e in tutta Italia.
L’unica accortezza davvero importante per chi possiede un purificatore d’acqua è di provvedere alla regolare manutenzione e sostituzione dei filtri.
In mancanza di ciò, i filtri possono trasformarsi in una fonte di batteri e ne risentirà la qualità dell’acqua.
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