La truffa dell’acqua in bottiglia
un affare miliardario
Viviamo ormai nell’era dell’acqua Imbottigliata.
Le chiare, fresche, dolci acque hanno un tappo , un’etichetta e un codice a barre.
Ne consumiamo ogni anno circa 200 litri a testa,
Ogni anno in Italia si imbottigliano più di 14 miliardi di litri (245 nel mondo) da 300 sorgenti attive gestite da 170 aziende di imbottigliamento che producono 608 differenti etichette.





La vendita avviene prevalentemente nei supermercati (55%), seguiti dai discount (18,5 %) e poi da ipermercati e piccoli negozi a libero servizio.
Le aree geografiche dove si consuma più acqua sono il Nord Ovest (28,9 %), seguito dal Sud con la Sicilia (27,8 %), dal Centro più Sardegna (25 ) e Nord-Est (18,3 %).
L’affare da 2,3 miliardi di euro all’anno è nelle mani di pochi.




I primi otto grandi gruppi del settore detengono una quota di mercato pari al 72 per cento:
- Il gruppo Nestlè (che ha in Italia la San Pellegrino, la Panna, la Recoaro e la Levissima),
- San Benedetto (San Benedetto, Guizza, Nepi, Cutolo),
- Fonti di Vinadio (Sant’Anna), Norda-Gaudianello, Cogedi (Uliveto e Rocchetta),
- Ferrarelle (Ferrarelle, Natìa, Santagata, Boario, Fonte Essenziale),
- Spumador (Valverde, S. Antonio, San Carlo, Mood) e Lete.
In Italia ,il prezzo delle acque minerali è inferiore rispetto a quelle di altri paesi:
la gran parte delle bottiglie da 1,5 litri in pet costano tra i 20 e i 40 centesimi.




Quale è la vera storia dell’acqua in bottiglia ?
Ne abbiamo davvero bisogno?
Un po’ più care le acque straniere (Perrier ed Evian le più diffuse), quelle gourmet (la San Pellegrino, la Panna, la Nepi, la Filette)
Quelle come la Uliveto, la Sangemini, la Fiuggi, che da sempre sono ritenute a torto o a ragione «curative».
Per queste bottiglie si va dai 50 centesimi a bottiglia e spesso si sfiora l’euro. Prezzi che leggiamo con noncuranza, ma che sono enormi rispetto al prezzo di un litro di acqua potabile da rubinetto, che è un millesimo di euro.
A rendere appetibile il business sono quindi i volumi.
E soprattutto gli esigui canoni di concessione delle falde, che sono beni demaniali regolati da norme regionali molto varie che configurano una sorta di far west:
molte regioni fanno pagare una concessione legata alla superficie occupata dallo stabilimento e non alla quantità di acqua prodotta,
altri utilizzano sistemi misti:
il risultato è che le aziende spesso multinazionali pagano alle regioni cifre che in molti casi non riescono a ripagare nemmeno le spese necessarie per i controlli sanitari o per lo smaltimento della plastica
Ciò rende l’industria dell’acqua in bottiglia una delle più remunerative in assoluto.
Per non parlare delle acque micro filtrate in bottiglia, pagate allo stesso prezzo della minerale pur essendo acqua di rubinetto arricchita con anidride carbonica e sali minerali.




Il paradosso è che noi italiani siamo tra i più grandi bevitori di acqua minerale in bottiglia, pur avendo una rete idrica tra le migliori al mondo.
L’acqua che esce dai nostri rubinetti è sana e spesso anche buona di gusto:
Subisce controlli molto più frequenti e severi rispetto all’acqua in bottiglia e deve rispettate limiti di legge di contaminanti più rigorosa,
addirittura ci sono sistemi di disinfezione UV sperimentati in alcuni acquedotti che non lasciano alcuna traccia né chimica né organolettica.
E poi con il costo di una bottiglia da 1,5 litri acquistata al supermercato, vale a dire 40 centesimi,
A casa con 40 centesimi compriamo un metro cubo di acqua, vale a dire mille litri.
Si è fatto qualcosa ?
Dal 1980 a oggi il mercato delle acque minerali è quintuplicato, mentre le tariffe pagate dalla società imbottigliatrici alle regioni sono rimaste quasi invariate, in molti casi con canoni ancora stabiliti con “regio decreto” o vecchi di oltre Trent’Anni.
Per risolvere questa situazione, nel 2006, la Conferenza Stato-Regioni ha elaborato un documento di indirizzo in cui si proponeva l’applicazione di canoni uniformi sul territorio nazionale che prevedessero l’obbligo di pagare sia in funzione degli ettari dati in concessione, sia per i volumi imbottigliati.
Nel 2017 Legambiente è andata a verificare il livello di attuazione di quanto stabilito nel 2006.
I risultati non sono positivi:




- Solo una regione promossa (Lazio),
- dieci promosse con riserva (Calabria, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto e Provincia autonoma di Trento),
- quattro rimandate (Basilicata, Campania, Piemonte, Abruzzo)
- sei bocciate (Provincia autonoma di Bolzano, Emilia Romagna, Liguria, Molise, Puglia, Sardegna).




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